Ancora un caso di accanimento da parte di una forza governativa nei confronti di un programmatore informatico, colpevole di difendere il diritto all’informazione e alla privacy degli individui.
Dopo i casi ben più noti di Julian Assange e di Edward Snowden, a finire sotto la scure della giustizia arbitraria è Ola Bini, attivista e sviluppatore Svedese, esperto di sistemi di sicurezza informatici. L’arresto è avvenuto in Ecuador l’11 aprile di quest’anno, a seguito del cambio di orientamento politico attuato dall’attuale governo presieduto da Lenín Moreno, che ha portato anche alla revoca dell’asilo politico al fondatore di Wikileaks.
I capi d’imputazione attribuiti a Ola Martin Gustafsson (nome di battesimo di Ola Bini), di cui egli stesso era stato tenuto allo scuro, consistevano inizialmente nella violazione di sistemi informatici e cospirazione. Questi sono poi stati sostituiti da un’accusa di evasione fiscale, quando si è capito che non si sarebbe riuscita a dimostrare la colpevolezza dell’hacker. L’arresto, a dispetto delle leggi internazionale, è avvenuto in estrema segretezza, senza che ne fosse informata nemmeno l’ambasciata Svedese, ed è stato annunciato pubblicamente solo alcuni giorni dopo e
Secondo Amnesty International si tratta invece di un attacco scellerato nei confronti di chi difende il diritto alla privacy in Ecuador.
Pare infatti che Ola Bini non sia mai entrato nel server governativo che è accusato di aver violato, ma che, al contrario, abbia fatto presente alle autorità la facilità con cui vi si potrebbe accedere, invocando una maggiore sicurezza del sistema.
A distanza di mesi dall’accaduto, il caso sta acquisendo una risonanza internazionale sempre maggiore, come esempio di violazione dei diritti umani e costituzionali.
La reale motivazione risiederebbe nel fatto che il programmatore era stato in precedenza ufficiosamente (in mancanza di prove) considerato responsabile della scoperta di una rete di corruzione che potrebbe includere anche l’attuale presidente Ecuadoriano. Di conseguenza, Amnesty International ha lanciato l’hashtag #FreeOlaBini, per richiedere supporto contro l’ennesima prova di forza contro i diritti del cittadino.