storia dei chatbot, Logogramma

Breve storia dei chatbot

 

1. Antichi e recenti creatori di Intelligenze Artificiali e chatbot

L’idea di creare un chatbot, un’intelligenza artificiale che simuli i comportamenti umani riproducendone il modo di comnunicare, è un filo conduttore che attraversa tutta la storia dell’umanità.

Logogramma, intelligenza artificiale

Questa idea ha fornito alla società una enorme quantità di storie e miti e ispirato artisti e inventori di diverse epoche.

Già nell’antichità questo tema era presente nelle narrazioni mitologiche, anche in ragione della sua prossimità al concetto della creazione. Il dio Greco Efesto – Vulcano per i Romani – fabbro di dei ed eroi, non essendo socievole e benvoluto quanto Babbo Natale, doveva costruire con le proprie mani i suoi stessi aiutanti, mentre Dedalo andò oltre, utilizzando l’argento vivo per donare alle proprie statue la capacità di muoversi e parlare (poi ci si lamenta quando i figli puntano troppo in alto!). Pare, inoltre, che l’idea degli umanoidi non appartenesse solo ai Greci, ma che trovasse dei competitor anche nel mondo arabo, tra gli inuit e tra i Cinesi, che si dimostrano come sempre all’avanguardia.

Avvicinandoci ai nostri tempi, emblematico è l’esempio di Victor Frankenstein e della sua creatura, che non esegue semplicemente gli ordini del suo creatore, al contrario…

SPOILER ALERT!

…prende coscienza del proprio stato e gli si ritorce contro. 

La creatura è furba, apprende, nutre sentimenti di vendetta, e prova solitudine e rabbia. Rappresenta un eccellente prototipo da un lato dei robot come vengono oggi concepiti e progettati da un punto di vista tecnico, dall’altro di come sono state in gran parte immaginate le intelligenze artificiali nelle arti e nella fantascienza.

Basti pensare ad HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio, a Roy Batty di Blade Runner o alla Samantha di Lei (Her): macchine dall’atteggiamento più o meno antropomorfo, comprendenti quindi anche errori, debolezze e cattiverie…

E a proposito della cattiveria degli androidi e della loro irrefrenabile voglia, più o meno giustificabile, di farci tutti fuori o renderci schiavi, risulta difficile comprendere il motivo per cui entità così intelligenti ed onniscienti dovrebbero punirci tutti per l’errore di qualcuno, o magari solo per diletto… Sediamoci e parliamone con calma, Agente Smith. Gradisce un caffè?

 

2. L’avvento degli umanoidi parlanti

Lo sviluppo di robot parlanti, i cosiddetti chatterbot o chatbot, ha fatto tanti progressi in così poco tempo da raggiungere livelli di funzionamento considerati fantascientifici fino a pochi anni fa.

Logogramma, chatbot

Sebbene il termine chatterbot fu coniato per la prima volta nel 1994 da Michael Mauldin, l’idea formale alla base di un macchinario capace di dialogare con l’uomo risale al secondo dopoguerra, quando Alan Turing elaborò un test da sottoporre alle macchine per valutarne la capacità di pensiero nel collegare e comunicare concetti in modo tale da essere scambiata per un essere umano.

Da allora, sono stati progettati molteplici esemplari di chatbot comprendenti sempre più sfumature della comunicazione umana, che hanno avuto esiti più o meno positivi e a volte sconcertanti.

Negli anni Sessanta, nei laboratori del MIT nacque così ELIZA – e da lì anche la tendenza di dare ai chatbot nomi che rimandano più a uragani e monsoni che ad algoritmi di programmazione – un programma che, dato un input, identificava parole chiave e le relazionava a schemi prefissati per fornire una risposta adeguata e coerente.

Qualche anno dopo fu rilasciato PARRY, definito un “ELIZA con un carattere”, e che carattere! In effetti, PARRY simulava i comportamenti di una persona affetta da schizofrenia e a quanto pare lo faceva anche piuttosto bene, dato che solo circa la metà degli psicologi chiamati a testarne l’utilizzo capì che non si trattava di un umano.

Nel 1995, A.L.I.C.E. vide la luce… dei vecchi schermi a tubo catodico! Basato sullo stesso funzionamento di ELIZA, A.L.I.C.E. possedeva una conoscenza di base costituita da documenti in formato AIML (Artificial Intelligence Markup Language), che permetteva di evidenziare alcune espressioni chiave della lingua e di associarle interattivamente in modo da creare domini in relazione tra loro.

Così, si è cercato di riprodurre i meccanismi cognitivi con cui la mente umana categorizza ed etichetta la realtà, creando ciò che si definisce una ontologia: un database di concetti e relazioni.

Sebbene questo meccanismo formi parte della struttura di molti apparati di intelligenza artificiale e chatbot oggi utilizzati, un’importanza ancora maggiore è riservata alla statistica. Il funzionamento di dispositivi come Alexa, Siri e Cortana – che in molti casi hanno la fortuna di dialogare con i propri utenti più di quanto questi facciano con i propri amici e parenti – si appoggia molto sulle analisi statistiche delle ricerche che gli stessi utenti effettuano nel Web. Calcolando le frequenze di utilizzo e la quantità di co-occorrenze delle forme linguistiche, cioè quante volte queste appaiono vicine in determinati contesti, i chatbot possono intuire e anticipare le esigenze dell’utente.

Tutto questo è diventato possibile grazie all’enorme quantità di informazioni (testi scritti, audio e video) che si possono facilmente ricavare dal Web, i cosiddetti big data – no, non si tratta né di un rapper né di un wrestler – che, una volta raccolti e analizzati, consentono di costruire modelli sempre più simili al modo in cui avviene la comunicazione nella quotidianità.

 

3. NLP e Machine Learning: l’ultima frontiera della comunicazione robotica

La branca della ricerca che lega linguistica, informatica e statistica con il fine di progettare modelli comunicativi che riproducano il linguaggio naturale è detta Natural Language Processing (NLP).

Logogramma, NLP

Non disponendo di abbastanza carta e penna, né di tempo in una sola vita, i suddetti calcoli e le etichettature necessari per il NLP vengono spesso effettuati da programmi basati su algoritmi precostruiti, attraverso un meccanismo di machine learning, che permette al bot di apprendere, più o meno automaticamente dagli input che riceve, secondo date istruzioni.

Il machine learning è oramai, che lo sappiate o meno, parte integrante delle nostre vite.

Un esempio su tutti è l’autocorrettore per tastiera degli smartphone, che riesce ad intuire cosa vogliamo dire quando digitiamo i tasti errati – cosa molto comune in mancanza di polpastrelli a punta – e che addirittura anticipa le parole che seguiranno quella appena scritta. In questo specifico caso, il programma registra i termini che utilizziamo più spesso, in modo da riproporli quando ci ritroveremo a parlare di argomenti simili (tranquilli: si possono eliminare dalla cronologia! …ma questo lo saprete già).

Ovviamente, quello che il programma apprende dipende dalle regole fornitegli dai programmatori e dagli input ricevuti, nel caso dei chatbot dalle interazioni linguistiche con gli utenti.

Per questo motivo, se il bot, per esempio, riceve messaggi gratuitamente offensivi, molto probabilmente assumerà un atteggiamento aggressivo anche in contesti totalmente inopportuni. Un esempio molto poco politicamente corretto degli effetti che può avere una “cattiva” interazione con un chatterbot in fase di apprendimento è Tay. Rilasciato nel Marzo 2016 da Microsoft, Tay era una simpatica e dolce signora-bot che comunicava su Twitter, interagendo con i commenti postati da altri utenti.

Dopo poche ore di vita, invece di essere alle prese con l’allattamento, Tay già postava messaggi di natura xenofoba, omofoba e nazista.

Sebbene da un lato se ne possa apprezzare la coerenza di pensiero, non avendo Tay mai negato di aver detto ciò che ha detto, come è invece solito fare qualche human-bot non abituato a prendersi la responsabilità delle proprie parole, dall’altro è impossibile negare che tali espressioni possano gravemente ferire le persone. Per questa ragione Microsoft dovette scusarsi per l’accaduto e rimuovere l’account Twitter di Tay, accusando gli hacker di averla attaccata con una enorme quantità di “input negativi”.

Proprio per evitare situazioni similmente spiacevoli, oggigiorno si bada bene a non lasciare attivo (o quanto meno incontrollato!) l’algoritmo NLP di machine learning successivamente al rilascio del bot

Per questo motivo sono nate altre forme di apprendimento continuo, come il Reinforcement Learning o l’Interactive Learningbasate sul concetto di ricompensa. Il principio è esattamente lo stesso di quando il vostro cane o compagno si mette a cuccia al vostro comando, e gli tirate i croccantini: in questi tipi di apprendimento il bot fa svariati tentativi, partendo dal più ovvio per lui (cioè quello che ha ritrovato più volte nel corpus che gli era stato dato in pasto), per rispondere alla richiesta, imparando che la strada giusta in quel contesto è quella che gli permette di ricevere una ricompensa.

 

4. Sentiment Analysis e settori di utilizzo dei bot

“Tu chiamale se vuoi emozioni”…con la Sentiment Analysis!

Logogramma, Sentiment Analysis

Se la conoscenza di NLP e machine learning poteva bastare a Efesto per costruire i suoi schiavi o a Dedalo per far parlare le statue, il dottor Frankenstein disponeva di un ulteriore ingrediente per la sua creatura: le emozioni.

Per evitare che le interazioni con il nostro chatbot sfocino nell’apatia razionale, bisogna trovare un modo per analizzare e riprodurre i sentimenti umani – sì, proprio quelli che solitamente fanno imbestialire i robot nei film. 

Questa missione è affidata alla Sentiment Analysis, che studia le relazioni tra espressioni linguistiche, contesto di utilizzo ed emozioni per conferire al chatbot la capacità di riconoscere se gli stiamo parlando o scrivendo in modo arrabbiato, triste, contento, timido, e così via… per poter rispondere in maniera empatica o farle girare ancora di più.

Come si può immaginare, un settore in cui un chatbot dotato di sentimenti può fare la differenza è quello dei call center, la valvola di sfogo delle più profonde frustrazioni per molti cittadini.

Immaginatevi in vacanza in Indonesia, giunti dopo giorni di viaggio, jet lag e impreviste piogge tropicali – perché tanto lì fa sempre caldo, no? nel tanto desiderato resort nel bel mezzo della foresta del Borneo – la tenda non l’avete portata perché a terra si dorme scomodi e poi ci piove dentro – e vi rendete conto solo allora di aver perso il portafogli…e proprio in quel momento vi chiama l’operatore di una compagnia telefonica. Era ora! Finalmente potete sfogarvi con qualcuno, per di più in Italiano! E invece, vi trovate di fronte un chatbot addestrato da uno psicologo che non cede alle vostre provocazioni, vi comprende, vi consola e magari vi fa anche aderire al nuovo costosissimo piano tariffario valido per tutta l’Estate, anche se siamo al 20 Settembre. E riacquistate la serenità, almeno finché dura la telefonata…Ma in effetti stiamo andando un po’ oltre con la fantasia.

Allora quali sono gli attuali utilizzi dei chatbot?

La risposta a questa domanda sarebbe una lista lunghissima, che sintetizzeremo con qualche esempio. A prescindere dalla tipologia (bot che usano il linguaggio scritto o applicazioni vocali), un numero sempre crescente, sebbene ancora piuttosto basso, di enti pubblici e privati si affida alle intelligenze artificiali in primis, come già accennato, nell’ambito del Customer Care, così da trarre i benefici di un assistente virtuale che gestisca problemi e reclami 24h/7. Altri settori che ricorrono spesso ai chatbot sono quello turistico e alberghiero, soprattutto nella gestione delle richieste di disponibilità, informazioni e prenotazioni; i negozi online (e-commerce) e il marketing, per consigliare gli acquisti più opportuni in base alle richieste e alle preferenze del cliente; i servizi di pubblica amministrazione, emergenza e attenzione al cittadino che forniscono assistenza per questioni burocratiche e amministrative; la ricerca rapida per comando vocale (si pensi a Siri) o il semplice bisogno di compagnia (come il software Replika, un bot-amico con cui conversare, che risponde in modo adeguato alla personalità dell’utente).

5. Gli sviluppi più recenti: Deep Learning e Reti Neurali

Quello della ricerca e del mercato legato alle Reti Neurali nell’AI è uno dei temi più salienti degli ultimi anni, che fornisce risultati sempre più innovativi a ritmi incalzanti.

Logogramma, Reti Neurali

Ma c’è ancora tanto da fare per riuscire a creare un prodotto con caratteristiche davvero umane. Infatti, i chatbot ancora non riescono a gestire in modo soddisfacente questioni complesse – le cosiddette long-tail questions – e forniscono risposte e azioni ancora molto elementari e specifiche, come la scelta multipla, e solo in seguito a richieste espresse con le formule linguistiche previste dal modello.

Pertanto, la ricerca si sta focalizzando sullo sviluppo di meccanismi come il Deep Learning, un tipo di machine learning che migliora l’apprendimento da dati non strutturati, e le Reti Neurali Convoluzionali (CNN), che riproducono artificialmente il modo in cui il cervello processa gli input.

Una delle app più utilizzate che si basa sulle CNN è FaceApp, che riesce a cambiare il volto di una persona in foto invecchiandola, ringiovanendola, cambiandone il sesso, etc. in modo estremamente realistico, e che ha anche generato una serie di polemiche su alcuni tipi di filtri utilizzati e sulle politiche di accesso ai file multimediali conservati nei nostri cellulari — poi c’è anche a chi non importa che un proprio clone Cinese si possa trovare stampato sui poster alle fermate degli autobus di Pechino pubblicizzando dei cereali.

Riguardo le CNN, molto si sta facendo per associare informazioni testuali a dati visuali, per creare, proprio come nella mente umana, ontologie di concetti associate a immagini, e si stanno muovendo i primi passi anche per l’utilizzo delle CNN nell’analisi e nell’elaborazione del linguaggio naturale.

Inoltre, il lavoro riguardante la pragmatica, ossia l’utilizzo della lingua relativamente al contesto (con chi si parla, dove, per quale motivo, con quale scopo, etc.) avrà sicuramente un ruolo sempre maggiore nella ricerca per la progettazione dei chatbotcosì come quello sul riconoscimento di varianti linguistiche regionali e sociali, come dialetti e cadenze dialettali o esterofone, gerghi, modi di dire, su cui la comunità dei linguisti lavora già da anni anche se — purtroppo — solo relativamente di recente (e ancora in maniera del tutto insufficiente!) ha iniziato a interfacciarsi col mondo dell’informatica, dell’ingegneria e delle tecnologie per veicolarne le conoscenze acquisite in secoli di studio.

Solo percorrendo questa strada i chatbot potranno riuscire nell’ambizioso compito di avvicinarsi alla comprensione e alla produzione di un linguaggio umano che sia veramente “naturale”.

Un linguaggio poco esplicito e letterale e molto più ambiguo, basato su allusioni, metafore e altri strumenti linguistici che permettono di capirci perfettamente anche con poche parole usate in contesti diversi. Un chatbot che non contestualizza potrebbe senza alcun problema pensare che il nostro parlamento sia composto da agricoltori che “scendono in campo”, muratori che “radono al suolo” e maestri yoga che “rasserenano” i colleghi… e l’ultima cosa che vorremmo è che il nostro bot si faccia un’idea sbagliata della situazione…no?

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